Da sempre le lingue sono un veicolo importante per rapportarsi con comunità diverse. Esse non sono semplicemente un insieme di segni e suoni ma un fulcro di numerose tradizioni e culture. Ogni lingua ha una propria identità ed è cruciale mantenerla per non perdere un elemento importante di un vasto patrimonio culturale. Infine, le lingue sono in costante evoluzione: ogni contatto con idiomi e società diverse fa sì che si trasformino ed acquisiscano nuove caratteristiche. Un processo naturale ed essenziale per preservare la loro “vitalità”.
Storia della lingua inglese
In questo senso, un esempio che abbiamo costantemente sotto i nostri occhi è l’inglese. Le sue origini sono racchiuse in quattro fasi cruciali: Old English (inglese antico), Middle English (inglese medio), Modern English (inglese moderno) e Contemporary English (inglese contemporaneo). Nello specifico, un cambiamento radicale della lingua avviene nel passaggio dall’Old English al Middle English: dopo la battaglia di Hastings (1066), che sancì la conquista del territorio anglosassone da parte dei normanni, si verificò una graduale influenza del francese sull’inglese antico. Questo perché il nuovo re normanno, Guglielmo il Conquistatore, prediligeva l’uso della propria lingua in ambito governativo ed ecclesiastico. Tali influenze, visibili ancora oggi nella grammatica e nella fonetica, portarono alla nascita del Middle English. Tale idioma si affermerà anche come lingua letteraria nel XIV secolo grazie a Geoffrey Chaucer e alla sua opera I Racconti di Canterbury. La lingua inglese è tuttora la più parlata al mondo (dopo il cinese mandarino e l’hindi) e la sua influenza è indubbiamente legata al periodo del colonialismo. L’Impero britannico, infatti, dominava più di un quarto della popolazione mondiale e molte sue ex colonie (come l’Australia o l’India) hanno l’inglese come lingua ufficiale o seconda lingua. Anche dopo la decolonizzazione il suo uso non viene meno, anzi: dalla fine della Seconda Guerra Mondiale tale lingua entra nei contesti istituzionali, contribuendo ulteriormente alla sua diffusione nel mondo.
Le varietà di inglese nel mondo
Le lingue, essendo costantemente in evoluzione, formano nuove e interessanti varietà. L’inglese, in questo senso, ne presenta molteplici. Oltre all’inglese britannico (parlato appunto in Gran Bretagna) troviamo l’inglese americano (che è la varietà più diffusa), l’inglese canadese, l’inglese australiano e neozelandese, l’inglese indiano, l’inglese pakistano e l’inglese sudafricano. In tutti questi casi, ci sono molte differenze rispetto all’inglese parlato nel Regno Unito che possono riguardare, tra i vari aspetti, lessico e pronuncia. In Australia, ad esempio, ci sono tre accenti diversi: il Broad Australian, il General Australian e il Cultivated Australian. Il primo è quello più lontano dall’accento britannico mentre il terzo è quello con cui presenta più somiglianze. In India, l’inglese è stato notevolmente influenzato dall’hindi (entrambe lingue ufficiali del paese) tanto che la sua varietà è nota anche come Hinglish. Basti pensare che, nel fare una domanda, non si ricorra all’ausiliare do ma ci si basi sull’intonazione (come in italiano). L’inglese britannico stesso presenta diversi varianti come il dialetto Spouse di Liverpool e la famigerata Received Pronunciation. Quest’ultima (denominata anche Queen’s English o inglese della BBC) è un caso interessante. Infatti questo tipo di pronuncia, generalmente insegnato agli studenti non-madrelingua, è utilizzata solo dal 3 al 5% della popolazione inglese residente a sud-est del paese.
L’inglese sudafricano e la ricchezza linguistica in Africa
Per quanto riguarda il Sudafrica, esso è l’insediamento britannico più antico in Africa. Anche qui, nel periodo dell’Apartheid, l’inglese era una delle lingue ufficiali del paese (insieme all’afrikaans). Poi nel 1994, con l’elezione di Nelson Mandela, vennero riconosciuti ufficialmente altri idiomi. Alcuni appartengono alle lingue nguni (parlate nelle regioni costiere e dall’est del paese), altri alle lingue sotho (parlate nelle province occidentali). Nel primo gruppo rientrano lo zulu (lingua più diffusa in Sudafrica), lo xhosa (seconda lingua più diffusa), lo swati e lo ndebele del nord o tabele (simile allo zulu, diffuso soprattutto in Zimbabwe); nel secondo gruppo troviamo il sotho del sud (o sesotho), il sotho del nord e lo ndebele del sud. Allo stato attuale, quindi, il Sudafrica conta ben undici idiomi istituzionali; dopo lo Zimbabwe, è il secondo paese nel mondo con il maggior numero di lingue ufficiali. Tale fatto dimostra la ricchezza multilinguistica e culturale dell’Africa stessa e l’importanza di preservare le lingue minoritarie dalla globalizzazione. In tale contesto, l’inglese sudafricano è al quinto posto tra gli idiomi più parlati nel paese; tuttavia, esso è ampiamente compreso dalla popolazione e, come per le altre varietà, riflette le influenze delle lingue locali ed europee. Molti, infatti, sono i neologismi utilizzati tra cui braai (che richiama il nostro barbecue), sami (sandwich), arvie (da “afternoon”) e skinner (gossip). Insomma, l’inglese e le sue varianti nel mondo dimostrano che ogni lingua (ufficiale e non) è un universo da scoprire. È importante, perciò, evitare l’omogeneizzazione e favorire i fenomeni di ibridazione linguistica, così da accogliere nuove culture e nuove tradizioni. Perché una lingua che muore, è un pezzo di storia che viene meno.
Articolo di Elisa Ceccon