Nel mare magnum che da sempre attornia la scuola italiana fatto di continui tagli (speriamo che zero risorse per il contratto 2022-2024 e il blocco del turn over servano per risvegliare le coscienze assopite), è difficile pensare che si possa trovare il tempo per discutere d’integrazione culturale.
L’unica soluzione che venne in mente al ministro dell’Istruzione, qualche mese fa, è quella delle classi separate per gli alunni stranieri. In altre parole ghettizzare e neutralizzare completamente qualsivoglia viatico all’inclusione culturale che già si cerca di mettere in atto in questi istituti claudicanti oramai da nord a sud. Spesso sprovvisti di quell’ottica intersezionale che rivoluzionerebbe il campo della formazione. Ma per fortuna esistono professioniste come Cinzia Adanna Ebonine per cui un approccio formativo di questo tipo promuoverebbe una consapevolezza profonda della complessità delle identità dei percorsi individuali, offrendo strumenti per comprendere il contesto in relazione ai sistemi di potere globali e locali.
Cinzia Ebonine è un’educatrice, pedagogista e formatrice italiana, profondamente legata alle sue radici nigeriane. Nata in Italia da genitori nigeriani, Ebonine ha dedicato la sua carriera a promuovere una pedagogia inclusiva e interculturale, convinta che la diversità sia una ricchezza da valorizzare e integrare nel contesto scolastico italiano attraverso la sua piattorma Education with Cinzia.
La sua identità biculturale è un elemento chiave che la guida nel suo lavoro, consentendole di offrire un punto di vista unico, che unisce il sapere pedagogico italiano e il profondo rispetto per le tradizioni e la cultura africana. Interviene, dunque, nella scuola per evidenziare le peculiarità di ogni situazione discriminatoria e per valorizzare le voci e le esperienze di chi appartiene a gruppi minoritari. Inoltre, potenzia la capacità di agire per promuovere un cambiamento concreto verso una società più giusta e inclusiva.
Cinzia è diventata una figura di riferimento per la formazione degli insegnanti e degli educatori sulle tematiche dell’interculturalità e dell’inclusione. Per questa educatrice la scuola non può limitarsi a insegnare una nozione, ma deve insegnare a convivere con gli altri. Icastici, ad esempio, i suoi video su Instagram dove fornisce alcuni consigli alla comunità educante, ma anche dei genitori. Un esempio lampante è il fatto che non tutti pensano che non sapere pronunciare a scuola il nome di un alunno o di un’alunna con background migratorio, può definirsi una micro-aggressione, vale a dire quell’atteggiamento inconsapevole, apparentemente innocente, il quale nel lungo periodo potrebbe nuocere agli altri. E ancora procedere magari con eventuali storpiature del nome o chiederne il significato.
Tra bambine e bambine di origine cinesi spesso molto discriminati, tant’è che i genitori li trasferiscono di nuovo in Cina affinché stiano con i nonni e non soffrano troppo; ragazze e ragazzi di origine sinti additati il più delle volte come soggetti inclini alla cleptomania; e persone afro-discendenti a cui vengono poste le domande più disparate, si fa strada la figura di Cinzia.
La sua visione è chiara: una scuola che accoglie è una scuola che costruisce una società più forte e coesa. Attraverso la sua azione instancabile, Ebonine sta dimostrando che la diversità culturale non è solo una caratteristica da tollerare, ma una risorsa da celebrare. Recentemente, è stata insignita ai Black Carpet Awards del premio popolare dove ha dichiarato: “Desidero che i nostri bambini si sentano valorizzati e rappresentati nei libri e nelle storie che raccontiamo. È fondamentale che possano costruire una solida autostima ed esprimere appieno il loro potenziale”.
Articolo di Veronica Otranto Godano