Il naufragio di Pylos: chi soccorre i naufraghi?
Nelle tragedie di Crotone e Pylos, l’Unione Europea si è mostrata in tutta la sua inerzia. Continua a mancare un’empatia concreta che possa consentire di comprendere, nel profondo, cosa significhi morire in mare o vedere la propria famiglia annegare. Durante la crisi in Siria, il corpo di Alan Shenu – vi ricorderete tutti di quel bambino di 2 anni riverso sulla battigia? – fu spiattellato su tutti i giornali. “Otto anni dopo l’UE, afferma l’autrice dell’articolo Francesca De Benedetti nel suo pezzo per Vanity Fair, si è trasformata al punto che siamo all’eccesso opposto”.
In questo cimitero marino, i morti non hanno un volto. Non sono stati né salvati né riconosciuti. E i loro familiari raccontano che le autorità non stanno contattando le famiglie. Quello che emerge, dunque, è che le Istituzioni europee non le valorizzano. Sulla carta si parla di priorità per l’Europa, ma di fatto questi nuclei che fuggono verso il vecchio continente si trovano dinanzi a prigioni.
Il naufragio di Pylos: il ruolo dell’Europa
Occorre, quindi, che l’Europa s’impegni per consentire alle persone di mettersi in salvo. Bisogna indagare sul ruolo degli Stati membri e sul coinvolgimento di Frontex. Serve un sistema preciso che garantisca alle persone di chiedere protezione senza temere. Non si può continuare con l’accettare puntualmente la storia in cui la colpa dei naufragi è imputabile ai trafficanti.
Noi continuiamo con il nostro lavoro a tutela delle minoranze, di quelle che per fortuna – oseremmo dire – riescono ad arrivare in Italia e cercano disperatamente d’integrarsi.