Il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, istituita dall’ONU per ricordare la forza, il coraggio e la resilienza di milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case a causa di conflitti, violenze e persecuzioni.
Scarso equilibrio tra luci e ombre nella narrazione del rifugiato
Purtroppo ancora oggi la narrazione mediatica dei rifugiati in Italia presenta un panorama con troppe ombre. Non mancano rappresentazioni negative, stereotipi e retorica allarmistica che rischiano di alimentare sentimenti di ostilità e paura nei confronti di chi cerca rifugio, oltre la guerra, in un luogo di pace che è l’Italia e l’Europa.
D’altro lato c’è una narrazione realistica composta da reportage creati da professionisti sensibili e attenti alle sofferenze e alle storie individuali dei profughi, lavori giornalistici capaci di suscitare la giusta empatia e comprensione. Noi di Connect stiamo da questa parte: siamo per il dialogo tra i popoli, per la verità, per una corretta narrazione della migrazione, perchè tutti abbiano un luogo per vivere in condizioni dignitose.
Luci nella narrazione: le condizioni di accoglienza e la collaborazione volontaria del Terzo Settore
In alcune testate attente al tema viene data voce alle difficoltà e alle precarietà che il rifugiato nei centri di accoglienza e nei percorsi di integrazione. Questo tipo di giornalismo svolge un ruolo di denuncia e sensibilizzazione, portando all’attenzione pubblica le criticità del sistema e promuovendo un dibattito costruttivo sulle politiche migratorie. Inoltre la collaborazione tra media e organizzazioni che operano a fianco dei rifugiati, permette di veicolare informazioni accurate e verificate, contrastando la disinformazione e la diffusione di fake news.
Ombre nella narrazione: il sensazionalismo e la mancanza di contesto e informazioni
Alcuni media tendono a enfatizzare gli aspetti negativi legati all’immigrazione, associando il rifugiato a criminalità, disordini sociali e minacce alla sicurezza pubblica. Questo tipo di narrazione sensazionalistica contribuisce ad alimentare la paura e la diffidenza verso i migranti, distorcendo la realtà e alimentando stereotipi negativi.
Spesso la cronaca sugli sbarchi e sui flussi migratori manca di un’adeguata analisi delle cause strutturali che spingono le persone a fuggire dai loro paesi, come guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. La mancanza di contesto rischia di semplificare eccessivamente questioni complesse e di ostacolare una comprensione profonda delle migrazioni.
Sui social media e in alcuni contesti mediatici di conseguenza si diffonde un linguaggio ostile e discriminatorio verso i rifugiati, alimentato da sentimenti di xenofobia e nazionalismo. Questo tipo di discorso d’odio, oltre ad essere moralmente riprovevole, ha conseguenze negative sul clima sociale e può incitare alla violenza e all’intolleranza.
Come possiamo fare la nostra parte?
Per fare la nostra parte è importante promuovere un giornalismo responsabile e di qualità, che sia capace di informare in modo obiettivo e sensibile, contrastando la disinformazione e favorendo una narrazione inclusiva e rispettosa dei diritti umani del rifugiato.
Cosa possiamo fare noi?
Noi possiamo nella nostra quotidianità impattare per tutelare chi ci sta intorno, soprattutto se è un rifugiato, filtrando le informazioni che ci arrivano. Ecco alcuni consigli:
- Denunciare il linguaggio d’odio: segnalare contenuti offensivi e discriminatori sui social media e alle autorità competenti.
- Promuovere il dialogo interculturale: sostenere iniziative e progetti di incontro e conoscenza tra persone di culture diverse.
- Informare e sensibilizzare: diffondere informazioni accurate e positive sui rifugiati e sulle migrazioni, contrastando stereotipi e pregiudizi.
- Essere lettori e spettatori critici: valutare attentamente le fonti di informazione, leggere oltre i titoli e cercare di comprendere le diverse prospettive presentate.
Solo attraverso un impegno collettivo e un’informazione responsabile potremo costruire una società più accogliente e inclusiva, dove la diversità sia valorizzata e i diritti di tutti siano garantiti.
Articolo di Annamaria Sersante